2022: crisi delle rivalutazioni, pensioni più basse. Non accadeva da otto. Il Governo dovrà intervenire

Pensioni più basse a causa del coefficiente di rivalutazione negativo del sistema: era già accaduto nel 2014, ed il governo intervenne con un decreto legge. pensioni partite iva

Non si tratta dunque di una novità assoluta, visto che in passato si è già ripetuta, ma la questione dei montanti contribuitivi negativi maturati con l’Inps negli ultimi cinque anni del Pil italiano influirà negativamente sulla loro variazione.

Infatti esiste un meccanismo può portare a zero la rivalutazione negativa, ma il primo coefficiente positivo sarà ridotto dello 0,0215% per le previsioni del 2021. Sarà quindi obbligatorio intervenire a livello legislativo le pensioni saranno in balia della ripresa economica: se questa sosterrà il coefficiente ci sarà un adeguamento delle pensioni (perequazione), altrimenti assisteremo ad un loro decremento. L’Istat ha fatto sapere che Il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale, nei cinque anni precedenti il 2021, risulta pari a -0,000215 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione è pari a 0,999785. Si sottolinea che il coefficiente di rivalutazione risulta inferiore all’unità, a causa della dinamica negativa del PIL nominale nel periodo considerato.

Pensioni in negativo: era già capitato nel 2014FMI sulle pensioni anticipate

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Per l’Italia non è una novità assoluta, visto che nei tempi recenti era già accaduto nel 2014, quando l’indice di rivalutazione dei montanti fu negativo, causando l’intervento del governo con il decreto legge 65/2015 che il tasso negativo non poteva essere inferiore a 1 e che quindi sarebbe stato recuperato con le successive rivalutazioni. Secondo l’articolo 5 del comma I del DL del 2015, scatterebbe la clausola di salvaguardia che fa salire il valore dell’unità. 

Ma cosa accade in caso di coefficiente negativo? In primo luogo il problema riguarda le prestazioni pensionistiche che l’Inps dovrà garantire. Infatti le proiezioni pensionistiche indicano un aumento del Pil annuo dell’1,5%, più basso degli ultimi anni e quindi inferiore alle aspettative dei pensionati. Il secondo problema invece è legato alla sostenibilità del sistema, visto che il finanziamento che attualmente viene utilizzato si basa sulla ripartizione ma il metodo contributivo non dà affatto affidamento affinché ci sia un equilibrio finanziario futuro.

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La spesa pubblica per pensioni ha raggiunto un livello tra il 16 e il 17% del Pil, ben superiore alla media dei Paesi dell’Unione europea e i trasferimenti pubblici all’Inps, in un contesto del genere, si sono incrementati di circa 30 miliardi di euro, mentre i contribuiti per l’Inps sono scesi dai 236 miliardi del 2019 ai 225 del 220, con un contemporaneo incremento delle prestazioni del 2,5%.

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