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Partita iva, quanto costa e quale regime conviene scegliere

Published by
Chiara Feleppa

I costi legati alla Partita Iva sono variabili e dipendono da moltissimi fattori. Ecco quali sono le spese da sostenere. 

Partita iva sì, partita iva no. Quando si decide di aprire una partita IVA, bisogna considerare diversi fattori, a partire dalla convenienza fino ai costi da sostenere che possono spaventare. Tuttavia, chiunque decida di aprire un’attività in proprio – ma anche freelance che iniziano l’attività e piccoli imprenditori – deve mettere in conto la necessità di doverlo fare. Infatti, qualora si superino i limiti della prestazione occasionale, non resta altro che ricorrere alla P.Iva. Prima di aprirla, però, ci sono diversi fattori da considerare.

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Le condizioni di partenza sono due: da un lato, continuità e l’abitualità dell’esercizio dell’attività; dall’altro, la professionalità e l’esercizio in forma organizzata dell’attività. Per aprire una partita IVA bisogna fare richiesta all’Agenzia delle Entrate, che provvederà ad attribuire al richiedente il codice di 11 cifre utile per identificare il soggetto richiedente ( o numero di partita IVA). La procedura gratuita non ha costi ma, se si decide di rivolgersi ad un professionista, ci sono costi da sostenere legati alla sua consulenza e all’avvio della pratica. L’apertura della Partita IVA viene effettuata presso la sede competente dell’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall’inizio dell’attività professionale o produttiva.

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I costi

I costi sono comunque legati alla gestione della P.Iva, a partire dall’iscrizione al registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio competente. In questo caso i costi da sostenere sono di circa 150 euro all’anno. Ci sono poi i contributi previdenziali. In questo caso l’onere varia a seconda dell’iscrizione alla gestione separata INPS, della gestione artigiani e commercianti INPS o dell’iscrizione alla cassa di previdenza obbligatoria dei professionisti. In questo caso l’onere è variabile a seconda del reddito. C’è poi l’ imposta sostitutiva del regime forfettario. Il regime di tassazione è pari al 5% del reddito dell’attività (per i primi cinque anni). Successivamente si passa con tassazione al 15%. Infine la SCIA,  comunicazione certificata di inizio attività. Si tratta di una pratica che deve essere presentata al Comune ove si inizia l’attività. In questo i costi per diritti e bolli variano ma si rimane intorno alle 300 euro.

Quale regime scegliere?

Una delle prime cose da valutare è il regime: quello forfettario o quello ordinario.
Una partita IVA con regime ordinario può essere aperta da chiunque voglia avviare un’attività professionale o un’attività produttiva, in forma autonoma. Diversi gli obblighi, tra cui l’iscrizione alla gestione separata INPS; l’iscrizione all’INAIL per l’assicurazione obbligatoria; il pagamento dell’IRPEF o dell’IRES e dell’IRAP. La partita IVA con regime forfettario gode di diverse agevolazioni: un regime contabile semplificato senza obbligo di registri contabili, di iscrizione INAIL, di compilazione degli ISA, iscrizione al Registro delle Imprese e altro. Inoltre, gode di un regime fiscale con aliquota unica. Chi ha una partita IVA con regime forfettario pagherà il 15% di imposte su una base imponibile calcolata in maniera forfettaria, a seconda del codice ATECO scelto.

Come accedere al regime forfettario?

Per accedere al regime forfettario, bisogna rispettare un limite reddituale massimo di 65 mila euro annui e diverse cause ostative. In questo caso, il professionista con partita IVA non può avere un reddito da lavoro dipendente superiore ai 30 mila euro, spendere più di 20 mila euro per collaboratori, avere partecipazioni in società. Le partite IVA forfettarie inoltre non hanno obbligo di fatturazione elettronica. Le differenze riguardano quindi il limite reddituale all’ingresso; la tassazione dei redditi; il regime contabile semplificato; il limite al pagamento dei collaboratori; la partecipazione in società e aziende; il pagamento IRAP; l’iscrizione INAIL.

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