38 anni di contributi e 64 anni di età: la riforma delle Pensioni che piace al Governo

Continua il forcing sulla riforma delle pensioni: con la Quota 100 in scadenza alla fine dell’anno emerge la possibilità di una nuova Quota 102. Pensioni, torna la riforma Fornero? (foto Adobestock)

Fornero si, Fornero no, 64 anni e poi 67. La riforma sta dando letteralmente i numeri con le forze politiche che stanno premendo da ogni lato il governo per avere un pezzo di successo nel cambiamento inevitabile. Inevitabile perché le pretende l’Unione Europea a fronte dell’erogazione del Recovery Fund. In questi ultimi giorni sta emergendo una nuova idea, che è stata chiamata Quota 102.

Vale la pena infatti ricordare che da gennaio sarà chiusa l’esperienza Quota 100, insostenibile per le casse previdenziali. C’è dunque lo spettro del rientro dell’età pensionistica a 67 anni ed è per questo che è urgente un intervento. C’è da dire che sulla opzione 102 non c’è unanimità tra i partiti ed anzi sta emergendo più di una divisione, anche interna.

Quota 102, che secondo le ultime notizie sarebbe attualmente la preferita dal governo Draghi per la riforma delle pensioni 2022, prevede un impianto secondo il quale sarebbe possibile uscire dal mondo del lavoro anticipatamente con 38 anni di contributi e 64 anni d’età.

Se fosse confermato l’impianto attuale per la riforma delle pensioni 2022 con quota 102, il costo per tale misura potrebbe aggirarsi intorno a un paio di miliardi di euro. Tuttavia, secondo le ultime notizie, non mancherebbero le resistenze nella maggioranza.

Quota 102, la Lega storce in naso, ma il governo Draghi potrebbe andare avanti

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Come detto non tutti i partiti sono d’accordo con le ipotesi ventilate dal governo. A storcere la bocca è soprattutto la Lega, che invece vorrebbe un meccanismo per andare in pensione a 64 anni più flessibile, magari provando a prorogare Quota 100, almeno per determinate categorie di lavoro.

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Secondo i leghisti Quota 102 non comprenderebbe tutto il sistema lavorativo, perché ci sono alcuni “escamotage” per uscirne, tra cui l’ape sociale, i lavori usuranti e soprattutto il contratto di espansione. Quest’ultimo consentirebbe uno “scivolo” pensionistico a 5 anni dalla fine del periodo lavorativo e riguarderebbe tutte le aziende con più di 50 dipendenti, a patto che poi le forze lavoro vengano sostituite con nuove. In questo caso la società non pagherebbe i contributi per questo periodo che manca all’arrivo dell’effetiva pensione.

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